Top

Una giornata in famiglia coi i bambini dello shelter CORP di Grant Road

CORPchildren

Una giornata in famiglia coi i bambini dello shelter CORP di Grant Road

Da La stampa, Bollywood Party, 20 febbraio 2014
http://live.lastampa.it/Event/Bollywood_Party/106615626

L’appuntamento con Stefano è alla stazione di Grant Road alle 16. Ogni volta che scendo in un nuovo posto di Mumbai mi sembra di scoprire un’altra città. Qui sembra di entrare in un film neorealista, i cui fotogrammi sono stati colorati a mano con tinte sature: azzurro, verde, bianco e rosso che a quest’ora del pomeriggio brillano ancora di più, accarezzati dalla luce calda prima del tramonto.
Stefano è una persona molto pragmatica ma anche molto entusiasta: solida formazione economica, esperienze di lavoro all’estero, viene a Mumbai come volontario e poi resta qui per occuparsi di change management, in pratica accompagna la trasformazione: “fare i conti con la sostenibilità, decidere cosa fare, occuparsi di raccolta fondi, comunicazione, contabilità”.
Qualche giorno fa, seduti davanti a un caffè, mi sono fatta raccontare cosa è CORP: Community Outreach Programme, ONG indiana con 35 anni di storia, 80 persone attive, di cui 75 donne e 5 uomini, “una ONG classica basata sulla comunità ” la definisce Stefano, poco modaiola e focalizzata su bambini svantaggiati e donne: 18 centri e quindici programmi con asili per 1200 bambini, 160 ragazzi con disabilità fisiche e mentali, tre case-famiglie per bambini orfani o monogenitore, programmi di women empowerment, dedicati a migliorare la condizione economica delle donne con formazione professionale e avvio all’imprenditoria, programmi alimentari, sanitari e di sostegno alle vedove anziane. Oggi è il momento di vivere la parte pratica.

Il pomeriggio di gioco
Appuntamento a Grant Road Station, lato est. Prendiamo la Vespa rossa con casco (che meraviglia viaggiare in Vespa a Mumbai), e arriviamo alla scuola, dove CORP ha il permesso di utilizzare due aule: una per la formazione doposcuola dei ragazzi della casa-famiglia qui vicino, e una con i bambini che vivono in strada. Nella prima aula Jonathan, papà e anima dello shelter, sta aiutando i ragazzi a studiare marathi, la lingua che si parla a Mumbai e nel Maharashtra. Nella seconda Carolina e Cristina, due volontarie italiane hanno guidato giochi da tavola.
Ora è il momento di giocare a bandiera e mi presto come urlatrice e tenutaria del fazzoletto. Si creano velocemente due squadre: “mango” contro “banana”. I “banana” cambiano nome in “pasta” ma la prima manche la vincono i mango. Intanto le squadre raccolgono nuovi bambini. Bisogna essere veloci e agili. Prendere il fazzoletto prima dell’altro, senza toccarsi o rincorrere l’altro e prenderlo prima che torni alla base. Si stanno unendo anche alcune bambine.
La seconda manche la vincono i “pasta”. Ora c’è tempo per gioco libero: mentre i maschi si danno alla lotta, le bambine mi vengono vicine e cominciamo a giocare con le mani a quelle filastrocche in cui si battono sopra sotto di lato, in centro, sopra e sotto sempre più veloce. E finiamo sempre col cercare di toccare la pancia all’altra mentre è distratta. “Loro sono quattro sorelle” mi racconta Stefano e dopo pochi minuti le ho tutte addosso: chi cerca di pettinarmi, chi di fare le foto con la mia macchina, chi mi piazza in braccio la più piccola. Insegno loro Framartino campanaro, chissà da dove mi è venuto questo ricordo, e prima che abbia finito, hanno già capito che si può tre la seconda voce e si divertono molto con din don dan. Arrivano altre bimbe. Fra di loro sono piuttosto aggressive nei modi, soprattutto nei confronti delle piccole, anche i maschi sono così. Le carezze assomigliano più a delle botte, ma quando comincio a camminare con due dita sulle braccia di una di loro, mi offre l’interno braccia, più sensibile, lo fa anche a me, e poi io di nuovo a lei e quasi si addormenta. Non credo che questi bambini siano molti abituati al contatto fisico dolce.
Intanto sono quasi le 18. Le bambine e alcuni bambini vanno via e tornano alle loro case, capanne, quel che è. Andiamo allo shelter.

La casa-famiglia
Stefano mi affida ad Ashwin per andare alla casa-famiglia. Ha una dozzina di anni ma è una guardia del corpo eccezionale, non mi perde di vista un secondo e si insospettisce molto quando mi fermo a fotografare una capra che sta mangiando la gommapiuma della sella di una moto. Tanto che la capra di spaventa e infila il muso vicino allo specchietto retrovisore rovinandomi la foto. Arriviamo a casa: una grande stanza con pareti viola, sopra un bellissimo terrazzo. Dalla cucina spunta la cuoca, da un’altra stanza Pinky, la moglie di Jonathan con David, un mese e mezzo, il loro bimbo. Jonathan è un ex ragazzo di strada con una sensibilità unica: offre affetto e disciplina come un padre a ciascuno di loro. Mentre la cena è in preparazione è tempo di abluzioni e di danze. Io mi esibisco in una delle canzono di Bollywood che ho imparato qui. Che gioia danzare per quei tanti piccoli occhi neri. Poi tocca a loro. Abhijeet ha 19 anni, è il più grande ed è ha frequentato una accademia di danza, i piccoli lo seguono su tutte le canzoni più di moda.
Ora è il momento della cena: riso e dhal con verdure. Fortunatamente senza burro. Jonathan distribuisce a ciascun bambino chiedendo quanto riso e quanto verdure: alla fine il piatto deve essere perfettamente pulito. Mi chiedo come faranno alcuni a finire quelle montagne di cibo. E poi si mangia, impastando il riso e la salsa con le mani. All’inizio ho la tentazione di chiedere un cucchiaio, poi ne approfitto per scoprire dal vivo un’altra cosa che ho solo letto: la particolare miscela di sapori che si crea a cui viene paragonato spesso il rasa, il sentimento espresso dalla danza. Eh sì, è proprio diverso mangiare con la forchetta. Appallottolando salsa, spezie, riso e sottaceti piccanti, si crea quella fusione di sapori in cui ciascuno è percepibile singolarmente ma insieme creano un’unità nuova, una specie di convivialità delle differenze per le papille.

Le storie
Durante la cena Stefano mi racconta qualche storia di alcuni di loro: “Lui è orfano ed è arrivato da 6 mesi dal Gujarat. Quando la sorellina di 13 anni ha subito violenza in strada, le zie con cui vivevano, li hanno mandati via. Ora lei è ospite in un’altra nostra casa mista. Per i primi 6 mesi non parlava quasi. aveva grandi problemi di autostima. Lui invece è arrivato con una mano ustionata, non riusciva ad aprirla ed era aggressivissimo, ora l’abbiamo fatta operare e sta cambiando carattere”. E poi tutti gli altri, orfani, figli di persone con grandi problemi di salute, fisica o mentale, prostitute e tutto un campionario di umanità sofferente che l’India sfodera senza pudori.
Finita la cena, si sparecchia, si gioca, si rassetta, tutto in un clima di famiglia che fa sentire a casa anche me. Ora è il momento delle verticali con foto. Ora sono loro a fare le foto. Arriva il gelato e per tutti è ancora più festa. Poi arrivano le stuoie e i cuscini. Ci si prepara per la notte. La sveglia suona alle cinque domani. Un’ultimo sguardo alla lista dei compleanni: no domani non ce n’è nessuno. “Molte date le diamo noi perché non si capisce quando sono nati davvero” mi spiega Stefano.
Alcuni si mettono a letto. Per noi è il momento di andare. Ed ecco la domanda che fa male, uno dei più piccoli mi fissa negli occhi: “Ci vediamo domani?”.

Ritorno
Stefano mi dà un passaggio in Vespa. Finalmente passo nel quartiere a luci rosse. Non avevo ancora trovato l’occasione di chiedere a nessuno di accompagnarmi e poi via verso il nord della città con il vento ad accarezzare i pensieri, le sensazioni, con ancora addosso le mani delle bambine e i sorrisi dei bambini.