Top

Amour. Chi ama non ha scelta. E forse anche chi è amato.

amour_haneke_francesca_rosso

Amour. Chi ama non ha scelta. E forse anche chi è amato.

Chi ama non ha scelta. Ama e basta. Lotta e va avanti in nome del suo amore. Una fede. Una forza cieca. Una furia che non si può non seguire. Questo è amore. Per questo lo straordinario film di Michael Haneke, vincitore dell’ultimo Festival di Cannes, si chiama Amour. I protagonisti sono due ultraottantenni, gli strepitosi Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant. Dalla prima inquadratura sappiamo come va a finire. Non bene. Poi Haneke ci accompagna a un concerto facendoci capire come la musica sia il filo conduttore della vita e delle passioni in comune fra i due, il collante della loro vita insieme. In salone c’è un pianoforte a coda.

Poi comincia l’agonia. Noi siamo prigionieri dell’appartamento a Parigi in cui si svolge la vicenda. E non usciamo più. Assistiamo così al primo vuoto di memoria di lei, che speriamo possa essere solo una cosa temporanea. I due vanno dal medico e lei torna in carrozzella. Da qui l’attenzione si concentra sul suo declino, prima la parte destra, poi la parola, poi tutto insieme. Rapidamente. Non sappiamo esattamente che malattia è. Non è importante. Lei si fa promettere di non portarla più in ospedale. Lui le costruisce intorno un mondo privato, solo loro, in cui gli altri non ci devono essere. Se non per fugaci visite. La figlia, Isabelle Huppert, suggerisce al padre una clinica ma lui rifiuta. Accetta solo di farsi aiutare da un’infermiera e non tutti i giorni. Quando viene a trovarli l’allievo di piano interprete del concerto dell’inizio del film, la guarda con pietà. Una brutta cosa.
Mentre lei perde l’uso del corpo, e la dignità, lui non ha dubbi: fa di tutto per proteggerla dal mondo e da se stessa. Con una devozione naturale. La imbocca, la fa camminare piano piano, le fa fare ginnastica a letto, la costringe a bere quando lei non vuole più, la cambia, la lava, la massaggia, la fa cantare quando le si blocca la parola. E così fino a quando la situazione non diventa insostenibile. Poi tutto è naturale. Non è eutanasia, suicidio, morte. Solo un ultimo concerto, per andarsene insieme. Con leggerezza. Per sempre.